Carpi: un oroscopo di fondazione
La cultura astrologica alla corte dei Pio e la fondazione delle mura del Castello: qualche ipotesi e un tentativo di ricostruzione.
L.A. 192, 2018
Patrizia Nava
Il palazzo dei Pio, detto Castello di Carpi. Foto di Guido Piano.
Il palazzo dei Pio, detto comunemente Castello di Carpi, è un vasto e affascinante complesso monumentale, assai articolato, formato da rocche, torrioni, cortili e fabbricati edificati a partire dall’epoca matildica, fino al XVII secolo. Fu stabile residenza della famiglia dei Pio dal 1327 fino al 1525, quando la città di Carpi passò definitivamente sotto il dominio degli Este.
Alcune delle strutture più antiche sono andate distrutte, ma i documenti storici ricordano una Torre Bianca (o Torre Vecchia), demolita nel 1555 per ordine del Duca Ercole II d’Este, sulla quale una lapide marmorea recava memoria della fondazione delle mura del Castello ad opera di Manfredo Pio, signore del luogo nel 1332. La natura dell’iscrizione, di tipo commemorativo e insieme astronomico-astrologico, suggerirebbe una probabile elezione del momento opportuno per la posa della prima pietra, un vero e proprio oroscopo di fondazione. [1]
Le tracce più antiche
Nel Dizionario topografico-storico degli Stati Estensi, Girolamo Tiraboschi ci rivela che, sebbene il territorio di Carpi abbia donato reperti archeologici che testimonierebbero insediamenti abitativi sporadici anche in epoche antiche, in un ambiente prevalentemente boscoso e paludoso, la prima menzione esplicita di un Loco Carpio risale all’anno 753, quando compare nel diploma che Re Astolfo stila a favore dell’Abbazia di Nonantola, compreso tra i confini delle terre ad essa riconosciute. Allo stesso Re Astolfo si attribuisce la fondazione della Chiesa di Carpi, circostanza comprovata da diverse considerazioni di ordine storico e da Bolle Papali, [2] ma non, ci avverte il Tiraboschi, dall’iscrizione che si legge su una delle lastre marmoree inserite sulla facciata dell’antica pieve romanica di Santa Maria in Castello, oggi detta Sagra, che segnala il 751 come data di fondazione. Si tratta infatti di un probabile rifacimento cinquecentesco di una ipotetica iscrizione più antica, «e perciò dagli eruditi non può prendersi come autorevole testimonianza». [3]
Prudente considerazione, che ci ricorda come tali iscrizioni commemorative, talora tarde e inficiate spesso da considerazioni di opportunità politica e religiosa, sostanzialmente celebrative, non sempre siano attendibili o accurate, e di come sia necessario non sottovalutare la difficoltà della ricostruzione filologica e storica, evitando di accettarne le informazioni alla lettera. Questa consapevolezza ci accompagnerà nel tentativo di verificare la plausibilità dell’iscrizione della Torre Bianca, il presunto oroscopo di fondazione delle mura, che presenta problematiche non irrilevanti e incongruenze astronomiche che cercheremo di comporre.
Pieve romanica di S. Maria in Castello, detta Sagra
La cultura astrologica alla corte dei Pio
Non vi è dubbio che la cultura astrologica permea la vita quotidiana e determina molte delle scelte politiche e personali dei signori medievali e rinascimentali. La corte dei Pio non fa eccezione e la città di Carpi ne conserva testimonianze artistiche e iconografiche, come confermano i due affreschi raffiguranti il Carro del Sole e il Segno del Leone, originariamente collocati nelle lunette di un salone al pianterreno del Palazzo dei Pio. Ma è all’epoca di Alberto III (1475-1531), ultimo signore di Carpi, che la sua passione personale per la matematica, l’astronomia e l’astrologia si manifesta pienamente in numerose testimonianze, traccia di una pratica astrologica manifesta, diffusa anche tra i nobili della corte.
Nipote per parte di madre di Giovanni Pico della Mirandola, Alberto III ha una ricca biblioteca astronomico-astrologica che comprende volumi a lui espressamente dedicati dai maggiori editori dell’epoca. Il notaio, calligrafo e astrologo Sigismondo de Sigismondi è di casa al Palazzo e Alberto stesso ne richiede i servigi quando la moglie, la Contessa Cecilia Orsini, incinta di tre mesi, desidera sapere in anticipo il sesso del nascituro. L’erede sarà maschio, come conferma l’astrologo in una lettera al suo signore, datata 25 giugno 1524, nella quale dichiara di aver calcolato ben «quattro figure per la signora Contessa: e tutte sono state a questo modo, come è quella ch’io mando intraclusa». [4]
L’iscrizione
Lo status di Carpi all’inizio del XIV secolo era di Castello con borgo, diviso in Borgo Vecchio o Superiore e Borgo Nuovo o Inferiore. Per completarne la fortificazione, Manfredo Pio, nuovo signore di Carpi, ottenuta l’investitura nel 1331 da Giovanni re di Boemia, diede inizio a grandi opere per affermarne un più sicuro possesso, fondando le mura della Cittadella. Scrive il Tiraboschi:
«Altre fortificazioni vi aggiunse Manfredo Pio, alle quali diede principio l'anno 1332., e furon compite dieci anni appresso, come comprovasi da certi rozzi versi, che già ivi vedevansi, e che si riportano dal P. Maggi. Ei riferisce ancora una Storico-Astrologica Iscrizione, che leggevasi sopra una Torre, ed è la seguente: 1332. die tertia Octobris die Veneris, die 14. Lunae in prima Facie Piscium, hora Veneris, Sol in Libra. Dominus Manfredus de Pijs fecit incipere murari Castrum Carpi, et in fundamentis inventa fuit imago Jovis lapidis marmorei, et postea fuit posita super turrim veterem. Et tunc Marchio Rinaldus Estensis, Albertus Scala, Guido de Gonzaga erant in obsidione.» [5]
Il materiale da cui partire per la ricostruzione dell’oroscopo di fondazione è pertanto questo: «Terzo giorno di ottobre 1332, venerdì, quattordicesimo giorno della Luna nel primo decano dei Pesci, ora di Venere, Sole in Bilancia.»
È probabile che qualche studioso, incuriosito dalla descrizione apparentemente assai precisa, abbia tentato il calcolo della carta oroscopica, ma le mie ricerche in proposito non hanno dato frutti. L’unico breve commento a questo cielo inaugurale l’ho rinvenuto in un opuscolo pubblicato a Carpi come guida alla mostra Teatro del cielo e della terra. Astronomia, astrologia e misurazione del tempo, in occasione delle manifestazioni collegate al Festival Filosofia del 2004. [6]
Le ore planetarie
L’astrologo contemporaneo noterà subito come la nostra promettente iscrizione non ci dia che informazioni vaghe sull’orario del tema. Mentre giorno, mese e anno sono menzionati, l’unica indicazione oraria è la locuzione hora Veneris, un riferimento all’ora planetaria.
Le ore planetarie, nella loro forma storicamente più comune, sono unità temporali calcolate dall’istante del sorgere del Sole fino al tramonto, suddividendo il periodo di luce in 12 parti uguali, procedendo poi a dividere nello stesso modo il periodo di buio, dal tramonto all’alba successiva. Si ottengono così 24 “ore” che, è intuitivo, non coincidono affatto con le scansioni asettiche dell’orologio, ma variano in durata in base alla stagione dell’anno. D’estate le ore diurne saranno molto più lunghe di quelle notturne, e il contrario accadrà d’inverno. Inoltre, l’inizio del dì varierà di giorno in giorno, perché sempre diverso sarà l’istante del sorgere. Ecco perché le ore planetarie sono talora definite ore temporarie ineguali. [7]
A partire dalla prima ora della giornata, a queste scansioni temporali viene poi attribuito un governatore planetario che ne caratterizza la qualità, seguendo l’ordine caldaico degli astri, dal più lontano al più vicino, dal più lento nel moto apparente intorno alla terra, al più veloce: Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna, ricominciando poi da Saturno quando necessario. La sequenza dei pianeti si ripete ogni sette ore, così che la prima e l’ottava ora sono dedicate allo stesso governatore planetario. La dedica della prima ora del giorno è quella che impone il nome al giorno stesso: quella di Venere sarà la prima ora del venerdì, quella di Mercurio la prima ora del mercoledì e via seguendo.
Tabella delle ore planetarie (immagine Wikipedia - Wikimedia commons)
Ma la cosa più interessante, dal punto di vista storico, è che il sistema ha origini antiche e i documenti mostrano che è stato applicato per millenni senza variazioni né soluzione di continuità, a differenza della sequenza numerica dei giorni, che ha subito invece aggiustamenti complessi, con l’eliminazione di numerosi giorni nel passaggio, ad esempio, dal calendario giuliano a quello gregoriano, o l’addizione di un giorno nel caso degli anni bisestili. Tutte queste modifiche hanno avuto luogo senza che la sequenza delle ore planetarie e la loro dedicazione ai pianeti – e di conseguenza i nomi dei giorni della settimana – abbiano mai subito cambiamenti o interruzioni. Anche nel caso in cui, come accadeva a Babilonia, in Grecia e probabilmente ad Alessandria, la prima ora del giorno fosse considerata quella successiva al tramonto, [8] le testimonianze archeologiche suggeriscono la continuità della sequenza, di probabile origine ellenistica, almeno a partire dal I secolo D.C. [9] Vettio Valente conferma quest’uso, che porta talora a una doppia denominazione: come l’arco diurno è governato dal pianeta cui è dedicata la prima ora dell’alba, così l’arco notturno riceve il battesimo dalla prima ora della notte, al tramonto del Sole. [10] La pratica resisterà nel tempo, tanto da permettere a Domenico Maria da Novara, docente di astronomia all’Università di Bologna nel XV secolo, nel pronostico del 1484 dove l’ingresso del Sole all’equinozio di primavera è calcolato, con sensibile errore, [11] per mercoledì 10 marzo J.C. 9h35m pm, «videlicet in nocte Solis hora Mercuri», di parlare di “notte della domenica”, la notte dedicata al Sole. [12]
Le ore planetarie diurne e notturne di Vettio Valente, nella traduzione di Mark Riley
L’ora planetaria, quindi, è una sorta di calendario perpetuo che ci permette di correre indietro nel tempo. Così, se in un documento storico contraddittorio il numero del giorno indicato non corrisponde alla sua dedica planetaria, c’è sicuramente qualche probabilità in più che faccia fede il giorno planetario, vista la sua assoluta continuità, rispetto al computo numerico soggetto a mille variazioni, possibile fonte di errore, come quando, prosaicamente, ci si scorda di calcolare un giorno in più per un anno storico bisestile.
L’ora planetaria di Venere attestata nell’iscrizione di Carpi, considerando che il giorno è un venerdì (die Veneris), potrebbe quindi essere la prima ora del giorno, o l’ottava, o la quindicesima, oppure ancora la ventiduesima. La ricerca si fa interessante...
Problemi di attendibilità e incongruenze astronomiche
L’entusiasmo per la scoperta si trasforma presto in perplessità. Non abbiamo garanzie che quella iscrizione, riportata a distanza di qualche secolo dalla sua distruzione, sia effettivamente priva di errori e corrispondente esattamente al supposto originale. Non sappiamo neppure se tale iscrizione sia davvero da considerarsi coeva all’evento che descrive. Nulla sappiamo, inoltre, delle abilità di calcolo astronomico dell’anonimo astrologo incaricato della scelta elettiva, o, se non si tratta di elezione, dell’erezione della carta d’evento. Ma la curiosità incalza.
Balza subito agli occhi, tuttavia, una seria incongruenza astronomica: ammettendo che die 14 Lunae significhi che il nostro satellite è al suo quattordicesimo giorno dopo la precedente sizigia, cioè la Luna Nuova del 20 settembre 1332 J.C. alle ore 20:42:14 UT, è evidente che c’è qualcosa che non va. L’età della Luna indica infatti l’opposizione al Sole (Luna Piena, 4 ottobre 1332, 20:02:48 UT) e, con un Sole in Bilancia, non può certo essere nel segno dei Pesci, ma risulta nel TERZO decano dell’ARIETE. Eppure il testo specifica che la Luna è nel primo decano dei Pesci e, anche supponendo un errore di calcolo di diversi gradi, possibile all’epoca, risulta difficile credere che l’astronomo abbia sbagliato sia decano, sia segno e ammetta addirittura un’opposizione tra segni incongiunti.
Ritenendo che sia più probabile un refuso nel riportare il numero 14, piuttosto che nel riportare l’intera frase Luna in prima Facie Piscium, decido di ignorare, per ora, l’età della Luna e di proseguire la ricerca che sta assumendo il sapore di un’attività investigativa...
Sorge però un secondo problema: il giorno deve essere un venerdì, ma il 3 ottobre 1332 è un sabato, se applichiamo la denominazione che deriva dalla prima ora planetaria, al sorgere del Sole. [13] Anche tenendo conto dell’uso italico di far iniziare il giorno al tramonto precedente (per cui la sera del 2 ottobre con criterio moderno, risulterebbe già essere il 3 di ottobre ab occasu), rimane la necessità di erigere la carta di fondazione per il 2 ottobre 1332, per avere il giorno di Venere. Discrepanze di questo tipo non sono affatto rare in letteratura, dovute a volte a errori di computo, a volte alla differenza tra uso civile e giorno astronomico. [14] Inoltre, il 1332 fu un anno bisestile e dimenticare di aggiungere un giorno al computo porterebbe proprio ad avere un miscalcolato "3 ottobre" di venerdì. All’interno della finestra temporale così identificata, due ipotesi mi sembrano particolarmente promettenti.
Prima ipotesi: 2 ottobre 1332, ora ottava
Questa prima ipotesi, che corrisponde ad un tempo locale di poco dopo le 13.00, è la data con minore correzione che rispetti entrambi i criteri principali: giorno di Venere, ora di Venere. Il Sole in Bilancia, come prescritto dall’iscrizione, significatore naturale del signore di turno (il fondatore Manfredo Pio) si trova in nona, sua casa di gioia. È in hayz, cioè in setta in carta diurna, emisfero diurno e segno maschile/diurno. Giove, il grande benefico, sorge all’orizzonte, caratteristica condivisa con numerose carte elettive storiche. Basti pensare all’oroscopo di fondazione della città di Baghdad, o a quello per la posa della prima pietra dell’osservatorio di Uraniborg, con Sole, Giove e Regolo nascenti. [15]
L’elezione si pone sotto l’egida dei due benefici: Giove, angolare e sorgente, dispositore di Venere nel Sagittario e della Luna nei Pesci; Venere, signora del giorno e dell’ora, dispositore del Sole e di Mercurio, nella favorevole undicesima casa, seppure sopra l’orizzonte in carta diurna, condizione poco confacente ad un pianeta notturno, e in applicazione a Marte, contatto da evitarsi nella fondazione di città, per la connessione del pianeta rosso con incendi e atti di guerra. [16]
L’effigie in pietra raffigurante il dio Giove ricordata nell’iscrizione, rinvenuta durante gli scavi per le fondamenta delle mura, è forse un reperto di epoca romana, come già suppose il Tiraboschi, ed è un presagio di buon auspicio che non ha valore di dato astrologico o astronomico. La menzione mostra tuttavia la volontà di assicurarsi la protezione celeste di Giove, che viene opportunamente valorizzato nella scelta del momento propizio.
La Luna, tuttavia, non si trova nel primo decano dei Pesci, ma quasi alla fine del secondo, con uno scarto di almeno otto gradi. Possibile, viste le imprecise effemeridi dell’epoca, ma non ottimale. Ancora più grave e decisamente sconsigliabile in una carta elettiva, la sua applicazione all’opposizione di Saturno, già in orbita di medietas. Dubito che un astrologo competente avrebbe scelto un momento così critico per la Luna, a meno che non vogliamo supporre un errore nel calcolo della sua posizione di entità tale da porre la Luna, nelle intenzioni dell’incauto astrologo, al sicuro dal contatto con il grande malefico.
Seconda ipotesi: 2 ottobre 1332, ora prima
Anche in questo caso sono rispettate le condizioni che prevedono il giorno di Venere e l’ora di Venere. In più, Venere è sotto l’orizzonte, seppure in casa succedente, e governa l’ascendente, oltre a disporre di Sole e Mercurio. Il benefico Giove dispone di Venere e della Luna. Di nuovo, quindi, il momento prescelto è sotto i favorevoli auspici delle due Fortune.
Il Sole è in hayz, angolare e sorgente: anche questa posizione è caratteristica e ricercata nelle carte di fondazione storiche (cfr. Tycho Brahe – Uraniborg). La fissa Spica (Alpha Virginis), una delle sei stelle regali, indicante fortuna e successo, è sorta da poco all’orizzonte Est, col Sole. Questo è un vero bonus: è il momento giusto per posare la prima pietra.
Vero è che il pericoloso Marte è fuori setta in decima casa, ma in casa angolare (la settima) e fuori setta si trovava anche nel tema precedente. Ma soprattutto, ciò che mi convince di più è la posizione della Luna. Non tanto per la sua congiunzione esatta con la Parte di Fortuna – che, calcolata sia in longitudine, sia in mundo, è sempre col luminare notturno, quando il diurno è esattamente all’ascendente – ma perché stavolta, a 13° dei Pesci, è in luogo compatibile con la definizione in prima Facie Piscium, considerando che raramente la posizione dei pianeti veloci nei temi storici è esattamente la stessa ottenibile con le effemeridi moderne. Finalmente! Saturno in questo modo è ancora lontano, fuori dall’orbita di medietas della futura opposizione.
Conclusioni
Le altre ore possibili, la quindicesima e la ventiduesima, non offrono temi convincenti, oltre ad essere ore notturne, poco pratiche – e poco praticate – per la fondazione di città, istituzioni e castelli.
Neppure volendo a tutti i costi mantenere il 3 ottobre come data di riferimento, otterremmo il rispetto della descrizione: quello è il giorno di Saturno, non di Venere. Calcolando il tema per le 10.25 circa ora locale, ora di Venere con Venere sorgente, avremmo Saturno esattamente al Medio Cielo e la scorpionica Antares, stella di Marte, all’orizzonte Est. William Ramesey, nel suo Astrologia Restaurata, ci ricorda che Saturno, se forte e ben messo, può avere un ruolo nelle carte di fondazione delle città, perché la sua presenza richiama l’idea della durata. [17] Ma la Luna si troverebbe in opposizione ancora stretta a Saturno e in ingresso, nel giro di un quarto d’ora, nel segno dell’Ariete.
Rimango quindi dell’idea che il tema più compatibile ci racconti che la fondazione avvenne il 2 ottobre 1332, giorno di Venere e ora di Venere, con la Luna nel primo decano dei Pesci, Spica e il Sole sorgenti, all’alba.
Sassuolo, 20 maggio 2018, 17.34
NOTE
1) Ringrazio l’amica Lorella Malavasi per aver attirato la mia attenzione su questo tema. Ringrazio anche Emanuele Ciampi di Cielo & Terra per l’interessante scambio di opinioni sulla carta ricostruita.
2) Girolamo Tiraboschi, Dizionario topografico-storico degli Stati Estensi, opera postuma del Cavalier Abate Girolamo Tiraboschi, Tomo I (A – L), Modena, Tipografia Camerale, 1824, p. 135.
4) La lettera è riportata da Lucia Armentano in Teatro del cielo e della terra, Astronomia, astrologia e misurazione del tempo, Carpi 2004, p. 21.
5) Ivi, p. 145. La fonte del Tiraboschi è il Padre Guglielmo Maggi, che nelle Memorie Historiche della città di Carpi, Carpi, Nicolò Degni, 1707, pp. 38-39, riporta il testo dell’iscrizione perduta. Ma lo stesso testo, con l’aggiunta delle parole ubi murabatur, compare anche in Memorie storiche e documenti sulla città e sull’antico principato di Carpi, a cura della Commissione Municipale di Storia Patria e Belle Arti, vol.I, Carpi, Pederzoli e Rossi, 1877, dove la fonte citata è la Storia Genealogica della famiglia Pio del Superbi.
6) Il commento astrologico di Giovanni Bulgarelli, a p. 17 dell’opuscolo citato, non coglie tuttavia il significato tecnico di alcuni termini chiave: la dicitura in prima facie Piscium, ad esempio, non si riferisce ad una generica “prima fase della Luna”, ma significa “nel primo decano dei Pesci”, cioè la suddivisione che va dal primo al decimo grado del segno zodiacale. Inoltre le dignità essenziali morpurghiane, applicate al tema per giustificarne l’efficacia astrologica, sono ben diverse da quelle utilizzate nel XIV secolo.
7) La definizione viene anche applicata, più raramente, ai periodi di tempo effettivamente disuguali determinati in base al sorgere dei segni all’orizzonte Est (15° di eclittica = 1 ora temporale). In questa accezione, testimoniata anche dal Sacrobosco (XIII sec.), ma raramente utilizzata nella gnomonica, il cerchio di riferimento è l’eclittica invece dell’equatore. Cfr. Nicola Severino, Le prime immagini delle ore planetarie secondo Giovanni di Sacrobosco, pubblicato su www.nicolaseverino.it nel novembre 2008.
8) Cfr. O. Neugebauer, H.B. Van Hoesen, Greek Horoscopes, The American Philosophical Society, Philadelphia 1959, pp. 167-169.
9) Il graffito pompeiano citato in Peter Keegan, Gareth Sears, Ray Laurence, Written Space in the Latin West, 200 BC to AD 300, Bloomsbury, London 2013, p. 89, che definisce il mercoledì 6 febbraio 60 DC dies Solis, forse prendendo il nome dall’ora del tramonto, la XIII dedicata al Sole, potrebbe suggerire una continuità stupefacente nel corso dei secoli, da verificare con ulteriori evidenze. Sulla corrispondenza dell’ora e del giorno planetario in datazioni più recenti non sussistono dubbi: ad esempio una stele votiva ritrovata nella provincia del Leon, in Spagna, definisce correttamente dies Iovis il 12 febbraio 224 DC, mentre l’epitaffio di Eusebia, stele ritrovata a Trier in Germania, definisce lunedì il giorno 12 luglio 409 DC (vedi Ilaria Bultrighini, New light on five Latin inscriptions of the later imperial period, with special reference to their dating formulae, «Epigraphica» LXXIX, Fratelli Lega Editori, Faenza 2017, e Notes on Days of the Week and Other Date-Related Aspects in Three Greek Inscriptions of the Late Roman Period, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» 201, Bonn 2017, pp. 187-196).
10) Robert L. Odom, Vettius Valens and the Planetary Week, Andrew University, 1965-3-2, p. 125, riferisce di come «Vettio Valente non usava il giorno civile romano, calcolato da mezzanotte a mezzanotte. Calcolava il giorno da tramonto a tramonto. Quando cita un giorno della settimana o del mese, parla di un giorno che inizia alla sera (intorno al tramonto) prima della mezzanotte che segna l’inizio del giorno civile. Questo è dimostrato dal fatto che conta le 24 ore invariabilmente dalla prima ora notturna». Vedi Vettius Valens, Anthologiarum Libri 9.1.10.
11) Secondo i calcoli moderni, l’equinozio avvenne l’11 marzo alle ore 6:11:03 UT. Anche la dicitura hora Mercuri andrebbe rettificata: l’ora di Mercurio, al momento calcolato dal Novara, era trascorsa da 28m in favore dell’ora della Luna. Le tavole alfonsine, usate come effemeridi all’epoca, erano tutt’altro che precise.
12) Il pronostico originale può essere letto in: Fabrizio Bònoli, Giuseppe Bezza, Salvo De Meis, Cinzia Colavita, I pronostici di Domenico Maria da Novara, Leo S. Olschki, Firenze 2012, p. 134.
13) Ho esplorato anche la possibilità che il giorno fosse denominato seguendo l’altra convenzione tradizionale, quella che utilizza la dedicazione planetaria della tredicesima ora, subito dopo il tramonto. Ma i risultati sono improbabili, rendendosi necessario un allontanamento ancora maggiore dal giorno stabilito nell’iscrizione, ottenendo una Luna tra l’Ariete e il Toro, oppure, in settembre, in Capricorno.
14) Anche William Lilly nel XVII secolo fa uso, contemporaneamente, del giorno civile del calendario giuliano, della denominazione planetaria derivata dalla prima ora dell’alba e delle effemeridi che calcolano le ore secondo l’uso astronomico, a partire dal mezzogiorno del luogo.
15) Entrambe le carte elettive compaiono, commentate, in Patrizia Nava, Il nobilissimo danese. Emulazione ideale e oroscopi di fondazione sullo sfondo della nascita dei grandi osservatori europei, «Linguaggio Astrale» 186, 2017. Anche alla pagina web http://www.astrologiaoraria.com/Tycho.html