Le stelle oscure
Studio sul luminare notturno e un paio di nebule ingiustamente trascurate.
Parte prima
Linguaggio Astrale 172 - autunno 2013
Patrizia Nava
I have loved the stars too fondly
to be fearful of the night.
Sarah Williams [1]
Abstract
Nebulae are incredibly beautiful sky objects which generally get a bad press, and the Moon is particularly sensitive to their difficult influence. Some of these objects can be found in the Almagest, but some of them, like the globular clusters M13 and M22 are not included in most of the ancient or modern lists. Yet they deserve deeper study. [Relazione presentata al Convegno Internazionale “Le vie della Luna” di Perugia, 21 luglio 2013]
Venere sullo sfondo della Via Lattea, in congiunzione con la nebula Spiculum (M8-M20)
Il titolo Le stelle oscure è un voluto riferimento alla bella relazione di Marco Fumagalli intitolata Il cielo oscuro, presentata nel 2011 al convegno di Apotelesma. In quello studio, l’autore ha cercato di trovare criteri per allargare il catalogo delle nebule tradizionali, normalmente prese in considerazione nella pratica astrologica classica, ad altri oggetti celesti di natura simile. Io stessa mi ero già occupata di questo argomento, che amo molto, in uno studio presentato a Genova nel 2010, in cui esaminavo il ruolo delle stelle fisse e delle nebule nelle carte orarie.[2]
Perché tanto e duraturo interesse, da indurmi a proseguire la ricerca in quella direzione? La prima risposta è d’istinto: la bellezza! Asterismi, ammassi, galassie e nebulose sono tra gli oggetti celesti più affascinanti che il cielo offre allo sguardo meravigliato di chi sa osservare. Nonostante la loro bellezza, non godono di buona fama: problemi alla vista, cecità, incidenti e situazioni sfavorevoli o violente vengono spesso attribuiti a tali meraviglie celesti dai testi astrologici tradizionali, e con una certa ragione. Ma, come scriveva la poetessa inglese Sarah Williams, chi ha amato davvero le stelle non può aver paura della notte, né del loro lato oscuro.
Vediamo quindi di indagarlo meglio.
Le nebule
Il termine nebulae (cioè nuvole), utilizzato nella tradizione astronomico/astrologica antica fino all’età moderna, comprende una serie di oggetti celesti di natura fisica assai diversa. Si va dai semplici asterismi, cioè raggruppamenti stellari deboli e difficilmente risolvibili nelle singole componenti che possono (oppure no) avere un qualche legame fisico tra loro; agli Ammassi Aperti, gruppi di stelle giovani di origine comune ancora unite da reciproca attrazione gravitazionale, immerse in polveri interstellari; agli Ammassi Globulari, insiemi compatti e sferoidali di stelle vecchie che orbitano intorno al centro di una galassia, alle Galassie vere e proprie, agli agglomerati interstellari di polveri, idrogeno e plasma propriamente definiti Nebulose. Tali oggetti, quando teoricamente percepibili ad occhio nudo, assumono un ruolo fondamentale nel segnalare possibili problemi alla vista, in particolare quando congiunti all’Ascendente o ai luminari.[3] Se infatti la luminosità apparente sembra essere un criterio prioritario nel definire l’importanza di una stella fissa, questi oggetti celesti proprio sulla mancanza di brillantezza fondano il loro significato. Solo chi ha vista perfetta può distinguerli nel cielo in una notte tersa e limpida. Gli altri dovranno usare la visione laterale periferica per percepirli.[4]
Questi asterismi hanno infatti in comune nebulosità, scarsa magnitudine luminosa, una certa difficoltà nella separazione visuale dei singoli componenti, se non in condizioni di ottima visibilità atmosferica e vista eccellente. Certamente per questa ragione sono stati associati costantemente e unanimemente a disturbi visivi di diversa entità e, per estensione, ai cosiddetti “gradi di azemena”,[5] cioè i gradi che indicano infermità o difetto nell’astrologia medioevale. Sia per questa ragione, sia per la prevalente natura Marte/Luna ad essi attribuita, sono inoltre genericamente collegati a turbolenza atmosferica e tempeste e, in senso lato, ad accadimenti violenti o potenzialmente pericolosi.
William Lilly dedica a questo argomento il Cap. CXXVIII del suo trattato, dimostrando di seguire in modo preciso la tradizione consolidata, elencando le stesse “stelle nebulose” recensite da Tolomeo, dalla tradizione araba e dalla pratica medioevale: si tratta, tra le maggiori, dell’ammasso aperto M44 (Presepe) nella costellazione del Cancro, delle Pleiadi nella spalla del Toro, della nebulosa M8 nella freccia del Sagittario, di M6 e M7 nel pungiglione dello Scorpione, della Chioma di Berenice e dell’acqua dell’Acquario.[6] Ma qualunque confuso assembramento stellare, comprese le zone più dense della Via Lattea, può essere nocivo alla vista o apportatore di difetto o violenza, e ciò ci permette di ampliare il catalogo delle nebule nocive ben oltre quanto prescritto dagli antichi testi.
La Via Lattea
Almeno due sono i criteri fondamentali per definire un oggetto celeste “nebula”. Il primo è la debolezza della luce apparentemente emessa, che costringe all’uso della visione distolta. Il secondo è la difficoltà di risoluzione, cioè di separazione visiva dei diversi elementi (stellari o non stellari) che compongono la nebula, che non è mai una sorgente singola puntiforme.[7] Non sono d’accordo, quindi, con la definizione di Marco Fumagalli che dichiara nebule “tutti gli oggetti celesti che si avvantaggiano della visione distolta. Se, osservando il cielo notturno, notiamo una luce che varia sensibilmente spostando lo sguardo, siamo di fronte ad una nebula”.[8] Al contrario, potremmo trovarci semplicemente di fronte ad una stella poco luminosa, non necessariamente ad una nebula, in quanto qualunque sorgente di luce debole, anche se puntiforme, si avvantaggia della visione distolta, come sanno bene gli astrofili abituati all’osservazione diretta del cielo. In altre parole, anche una singola stella, se di scarsa magnitudine apparente o in condizioni di sfavorevole visibilità, rientrerebbe in questa definizione, poiché sarà visibile soltanto grazie a questa tecnica. Ma una singola stella, in quanto sorgente di luce puntiforme, non è una nebula. L’uso della visione distolta è quindi una condizione necessaria, ma non sufficiente, che non può pertanto costituire da sola definizione valida.
Fondamentali sono la natura molteplice, diffusa o composita dell’oggetto celeste da inserire nel catalogo delle nebule, la piccola distanza angolare tra gli elementi da separare, insieme alla magnitudine al limite della visibilità teorica ad occhio nudo; tutti elementi che producono la sensazione di offuscamento o impastamento dell’immagine che caratterizza questi asterismi.
Gli ammassi globulari dell’emisfero Nord
Rispettano perfettamente questi criteri di definizione almeno un paio di oggetti celesti che non compaiono negli elenchi antichi o moderni, o non sono in questi identificabili con certezza: gli ammassi globulari più luminosi o cospicui visibili dall’emisfero settentrionale che nel catalogo di Charles Messier[9] ricevono le sigle di M22 e M13.
Si tratta in entrambi i casi di ammassi globulari, cioè di condensazioni di stelle di più antica formazione – le stesse che compongono anche i nuclei delle galassie spirali – caratterizzati al loro interno da forte gravità ed alta densità stellare (fino a 1000 stelle per parsec cubico nel nucleo), di forma globosa caratteristica. Possono contenere un numero elevatissimo di stelle ed orbitano come satelliti intorno al centro di una galassia. Gli ammassi globulari visibili dalla Terra si concentrano in prossimità del Centro Galattico, soprattutto nelle costellazioni di Ofiuco, Scorpione e Sagittario. I più luminosi sono Omega Centauri e 47 Tucanae (magnitudine apparente 3.7 e 4.0 rispettivamente), visibili dall’emisfero australe, il Grande Ammasso Globulare di Ercole (M13, m. 5.9), e M22 nel Sagittario (5.1), il più brillante effettivamente visibile dall’emisfero boreale.[10]
La scoperta ufficiale degli ammassi globulari in epoca telescopica, si deve all’astronomo tedesco Johann Abraham Ihle che nel 1665 scoprì M22, seguito da Edmond Halley che, inseguendo comete, identificò Omega Centauri nel 1677 e M13 nel 1714. Ma è difficile credere che gli antichi, con cieli scurissimi a disposizione, non abbiano mai visto questi oggetti celesti. Vero è che Giovan Battista Hodierna, scopritore e catalogatore di numerose nebule, non identifica né M13 né M22 nella sua opera del 1654.[11] D’altro canto, neppure Tolomeo inserisce nell’Almagesto M31, la galassia di Andromeda, sicuramente e facilmente visibile ad occhio nudo: un’omissione francamente inspiegabile, che lascia alquanto perplessi.
Perché questi oggetti celesti possano ricevere attenzione ed interpretazione astrologica, occorre che siano visibili ad occhio nudo. Tutti i globulari citati lo sono,[12] compresi M13 ed M22, ma attenzione: non potete sperare di uscire in una bella notte estiva e, alzando gli occhi al cielo, semplicemente vederli! Come la maggior parte delle nebule, occorrono condizioni favorevoli all’osservazione per poterli percepire come macchioline offuscate senza l’ausilio di un binocolo. Oltre a fattori soggettivi importanti, quali l’acuità visiva dell’osservatore e la sua conoscenza del cielo – il sapere dove guardare e come guardare, insomma[13] – ci sono fattori oggettivi da non trascurare. Il cielo deve essere trasparente e calmo (quello che in astronomia si definisce un buon seeing), l’oggetto deve essere abbastanza alto sull’orizzonte da limitare l’effetto di estinzione della luce dovuto ai densi strati atmosferici terrestri e, fattore cruciale, il cielo deve essere scuro, privo di inquinamento luminoso.
L'inquinamento luminoso in Europa in una foto da satellite
Le nostre città non sono luoghi adatti all’osservazione del cielo profondo, ma neppure le campagne, ormai, possono offrire cieli davvero bui: in Italia, le uniche aree dove la scala di Bortle[14] si avvicina a valori accettabili, ma non ottimali, si situano in zone estremamente localizzate e ridotte della Sardegna, della Corsica e qualcosa, poco, sulle Alpi. Tutto il cielo europeo soffre di fortissimo inquinamento luminoso e le aree cittadine e la pianura padana tutta toccano i livelli massimi di luminosità notturna. Il cielo stellato è ormai scomparso.
Gli effetti dell'inquinamento luminoso dulla visibilità degli astri: la scala di Bortle (da Stellarium)
L’ammasso globulare Messier 22
Noto anche come NGC 6656, questo ammasso globulare, uno dei più vicini alla Terra, si trova nella costellazione del Sagittario, non lontano dalla stella Kaus Borealis (Lambda Sagittarii). Un piccolo binocolo ne mostra già la forma circolare, più luminosa nelle regioni centrali. Solo uno strumento più potente, come un telescopio da 15 cm. di apertura, è in grado di risolverlo completamente in una miriade di stelle (ne contiene circa 500.000) su uno sfondo che rimane nebuloso. Charles Messier lo descrive come “una macchia nebulosa tondeggiante e senza stelle”, mentre William Herschel sarà il primo, con i suoi superiori strumenti, a risolverlo nelle sue componenti, descritte come stelline di 11a magnitudine tendenti al colore rosso. L’età stimata è di 12 miliardi di anni e le sue dimensioni apparenti sono di 32’ d’arco, un’area pari al disco della Luna.
L’ammasso globulare M22 – NGC 6656
Ho deciso di concentrare l’attenzione su M22 per una ragione metodologica. E’ noto infatti che una delle difficoltà principali nell’uso delle stelle fisse in astrologia è il fatto che poche di esse si trovano nella fascia zodiacale, dove sono possibili incontri e congiunzioni per corpo con i pianeti e i luminari. La maggior parte degli oggetti celesti non planetari, infatti, non giace sul piano dell’orbita eclittica, ma si situa ovunque nella sfera celeste, presentando quindi una latitudine positiva o negativa rimarchevole. M13 nella costellazione Hercules, ad esempio, ha una latitudine nord di ben 57° 51’. In queste condizioni, nessuna congiunzione per corpo è possibile, anche se gli astrologi di ogni tempo hanno escogitato sistemi efficaci per poterne calcolare comunque l’influsso.
Uno di questi, il più diffuso storicamente e attestato presso la maggioranza, se non la totalità delle fonti, è il metodo della longitudine eclittica, cioè il calcolo del grado di longitudine del cosiddetto “piede”, il punto in cui il circolo di latitudine che passa per la stella (vista come un punto specifico della sfera) interseca l’eclittica. A questo si aggiunge talora l’uso del parallelo o antiparallelo di declinazione, favorito dal Cardano.
Un altro sistema, elaborato dalla scuola di astrologia classica Cielo e Terra, è il calcolo della distanza oraria della stella dal meridiano di riferimento. La stella viene considerata virtualmente congiunta ad un altro corpo celeste o punto della sfera se i rispettivi circoli orari coincidono.
Un terzo sistema, propugnato dall’astrologa australiana Bernadette Brady, prevede l’uso dei cosiddetti “parans”, versione moderna degli antichi paranatellonta: la stella consorge, co-culmina, condiscende o co-anticulmina insieme a pianeti o angoli, nel corso dell’intero arco di 24 ore designato dal giorno di nascita, dall’alba precedente a quella successiva. Sebbene la Brady dichiari di essersi ispirata al testo sulle stelle fisse dell’Anonimo del 379, la dilatazione dell’arco temporale oltre l’istante specifico di nascita non sembra essere supportata dall’antica fonte ed è, quanto meno, discutibile.[15]
Queste metodologie possono essere proficuamente esplorate e sperimentate, ma una cosa è certa: se la latitudine della stella è notevole, sarà irrimediabilmente prospetticamente lontana dal pianeta a cui dovrebbe congiungersi, e nessuno di questi espedienti riuscirà a trasformare una congiunzione virtuale, basata sull’identità di un solo, singolo parametro, in una vera e propria congiunzione per corpo, nella quale gli astri coinvolti appaiono davvero vicini l’uno all’altro, osservando il cielo.
Questa condizione di vicinanza prospettica non è ritenuta necessaria da tutti gli autori, ma Al-Biruni, nel capitolo 460 intitolato “Dei luoghi che significano un’offesa agli occhi”, scrive:
Una [stella nebulosa] è nella mano sinistra di Perseo ma non deve essere annoverata in questo elenco, giacché la sua latitudine è assai grande ed è lontana dal percorso dei pianeti; [invece …] le Pleiadi hanno scarsa larghezza, onde la Luna passa loro accanto e anche il transito del Sole non è lontano.[16]
Ma con M22 questo problema non si pone. Questa nebula si trova molto vicina all’eclittica, all’interno della tradizionale fascia zodiacale: le sue coordinate tropicali attuali sono, infatti, longitudine 8°30’ Capricorno con latitudine negativa di soli 0°45’. Questa posizione la rende estremamente significativa astrologicamente, poiché vicina al percorso della Luna e dei pianeti: le occultazioni dell’ammasso da parte del luminare notturno, in particolare, non sono affatto rare e conferiscono alla Luna quella intensa coloritura che solo una vera congiunzione per corpo può dare.
La luna prossima all’occultazione di M22, a destra
Congiunzione Giove – M22 Facies
[1] “Ho amato le stelle troppo profondamente per aver paura della notte”. Dalla poesia The Old Astronomer della poetessa londinese Sarah Williams (1837 o 1841-1868). Questi versi sono stati assunti come motto dalla AAAP (Amateur Astronomers Association of Pittsburgh, Pennsylvania).
[2] Patrizia Nava, Carte effimere e stelle fisse, Atti del III Convegno di Apotelesma, Genova, 16 ottobre 2010. Pubblicato anche sul sito www.astrologiaoraria.com
[3] William Lilly, Christian Astrology, cap.CXXVIII, p. 581: “Corrisponde di solito a verità il fatto che ogni nativo che abbia i Luminari vicini o insieme a queste stelle, non muoia prima di soffrire di qualche difetto o ferita agli occhi; e il difetto sarà incurabile se il Luminare che ne dà testimonianza è angolare.”
[4] La visione distolta è una tecnica conosciutissima e utilizzata da tutti gli osservatori del cielo, professionali o amatoriali. Consiste nel guardare lateralmente, con la coda dell’occhio, per permettere alle porzioni periferiche della retina, ricche di bastoncelli più sensibili dei coni alla luce, di percepire anche una sorgente luminosa al di sotto della soglia di visibilità diretta.
[5] Il termine “azemena” deriva dall’arabo az-zamâna che indica un’infermità cronica o difficilmente guaribile. Tali gradi zodiacali, corrispondenti originariamente alle posizioni di asterismi o nebule nocive, sono considerati perniciosi per la salute e la vista in particolare dalla quasi totalità degli autori tradizionali. A causa della precessione degli equinozi, tali gradi non corrispondono più alla reale posizione delle stelle che hanno dato origine alla definizione.
[6] Confronta Claudio Tolomeo, Tetrabiblos, Libro III, cap.13. Ma anche Antioco, l’Anonimo del 379 che ne elenca otto (aggiungendo l’Occhio dell’Arciere e la Spina del Capricorno), Retorio e innumerevoli altri autori, tra cui Al-Biruni, L’arte dell’astrologia (a cura di Giuseppe Bezza), 1992, cap. 83 “Dei luoghi che significano un’offesa agli occhi”.
[7] La capacità risolutiva dell’occhio nudo è di circa 30” d’arco e dipende sia dalla distanza angolare tra gli elementi luminosi da distinguere, sia dalla distribuzione e dalla densità delle connessioni nervose retiniche per unità di area. Cfr. Adriano Gaspani, Il potere risolutivo ad occhio nudo, www.antiqui.it
[8] Marco Fumagalli, Il cielo oscuro. Nebule antiche e nebule moderne, «Phôs» n.23, dicembre 2011, p.2.
[9] Charles Messier (1730 - 1817), astronomo francese, pubblicò il suo famoso catalogo di 110 oggetti nebulosi nel 1774. Lo scopo di tale catalogo era di permettere l’identificazione certa di tutti gli oggetti celesti diffusi e difficilmente risolvibili, per evitarne la possibile confusione con nuclei cometari, ad uso degli astronomi cacciatori di nuove comete.
[10] Altri globulari teoricamente visibili ad occhio nudo, ma in pratica assai difficili da percepire senza ausilio ottico, sono M4 nello Scorpione (m. 5.9), M5 nel Serpente (m.5.7) e pochi altri.
[12] Ho raccolto personalmente le testimonianze dirette di osservatori di notevole esperienza, come Davide Pistritto e Giuseppe Bongiorni, che hanno avuto occasione di vedere questi globulari ad occhio nudo, in condizioni particolarmente favorevoli.
[13] A William Herschel, abile osservatore e scopritore del pianeta Urano, viene attribuito il detto: “Non puoi aspettarti di vedere al primo sguardo. Osservare è per certi versi un’arte che bisogna apprendere”.
[14] Il tasso di I.L., o inquinamento luminoso, contribuisce in modo radicale a modificare la luminosità del fondo cielo e l’effettiva visibilità degli astri. Si misura con specifiche scale basate sulla magnitudine limite apparente delle stelle percepibili in un determinato luogo o condizione. La più conosciuta è la scala di Bortle.